Viaggiare, che strana cosa. Una cosa che mi è sempre piaciuta, forse perchè ci sono abituato sin da bambino. L'ho sempre fatto e l'ho trovata sempre la forma più naturale di esperienza e conoscenza. Stimo e amo i viaggiatori e le viaggiatrici. Per viaggiatori intendo chi parte con una mezza valigia, già il trolley è troppo, e riesce a considerare il viaggio come qualcosa di "normale".
La mia stima, quindi, non va tanto agli esploratori, ai pellegrini, che cercano nello spostamento una specie di rivelazione mistica o una cura ai propri affanni e malanni. La mia stima colpisce chi si muove senza pregiudizio e sa fare del mondo la propria casa trovando il bello e il buono in ogni cultura e chilometro quadrato; dal Marocco alla Guinea, da " Scilla al Tanai, dall'uno all'altro mar", tanto per citare qualcuno di poco famoso.
Ma ritorniamo sul concetto del viaggiare. Nell'ultimo post affermavo che tutto nella mente ha una quasi precisa rappresentazione. E' naturale associare delle semi-precise immagini ai pensieri chiusi nel cervello. Immagini mutuate sia dalle nostre esperienze personali, sia da quello che leggiamo, che vediamo o che ascoltiamo, prese quindi dall'esperienza personale che però in questo caso è esperienza personale di conoscenza e studio. Se dico la parola "viaggio" ad ognuno verrà in mente un campionario di frammenti visivi differenti che allo stesso tempo poggiano su alcuni punti comuni; l'aereo che decolla, l'autobus che parte da qualche stazione in una mattina di sole, la macchina fredda con il riscaldamento acceso che si prepara a battere la strada ecc.
Io quando penso al viaggio, oltre che a queste immagini, faccio riferimento ad una visione un po' romantica, quasi da Lied, in cui vedo il pellegrino che senza sosta si muove sulla neve...e proprio quì mi sbaglio. Il viaggio contemporaneo, infatti, è più uno spostamento orizzontale che un movimento obliquo-verticale. Avete presente gli aerei? Ci sono delle bellissime città che riposano sulla pancia del mondo: Roma, Praga, Mosca, Berlino, Barcellona, New York, Tokyo, Budapest e chi più ne ha più ne metta. Posti statici, fermi, in cui gente normale fa la propria vita. Ci sono gli aerei che partono da un determinato aeroporto e arrivano in una determinata città, si muovono prima in verticale e poi in orizzontale. Si spostano veloci ed in due ore dall'Italia è facile raggiungere quasi tutta Europa. Se ci pensiamo tutto questo è pazzesco. Con quattro ore di volo ci troviamo catapultati a Mosca, ad esempio, una splendida città in cui la gente, come è naturale, vive secondo valori e parametri molto diversi dai nostri. E' pazzesco ma tanto affascinante.
Ogni volta che mi trovo in un posto nuovo ho paura di essere eccessivamente invadente, provo però a rilassarmi e a considerare quello che ho attorno come una possibile casa.
Il mio modo di viaggiare nasconde un approccio di tipo sociologico; mi piace andare a fondo nelle culture dei popoli che vado a visitare, vedere come si muovono, come vivono la vita e che relazioni hanno con il prossimo, con l'altro sesso, con la famiglia, con il consumismo.
Si parla di globalizzazione, oggi un po' meno di quanto se ne faceva qualche anno fa, si parla di omologazione delle culture, della perdità d'identità ecc. In ogni spostamento invece io ho sempre notato che i popoli mantengono e rinnovano i propri riti e tradizioni. Anche nell'era del mercato globale nel Regno Unito si va al pub, da tempo immemore in Italia e in Francia si mangiano determinate pietanze e via discorrendo. A mio parere nei riti più semplici quali il mangiare, il bere, il modo di divertirsi e di vestirsi si trova la vera essenza di una popolazione.
E' la scoperta di queste abitudini che mi sprona a viaggiare, a continuare a farlo incessantemente. Nel viaggio vedo la più alta forma di apprendimento possibile, il modo migliore per diventare saggi.
Viaggiate e ricordate sempre di rilassarvi.
Salutistimi,
SOULWILLY il pollo.